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Il piccolo paesino e il rifiuto del cambiamento

5/3/2020

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“Pedalo veloce per la via principale di questo paese fin troppo piccolo. E pensare che quando ero bambina mi sembrava enorme, invece crescendo mi sono resa conto che è limitato, esattamente come la mentalità delle persone che lo popolano. La chiesa, un supermercato, il benzinaio, un panettiere che è anche un caffè, un pub e una tavola calda sono tutto quello che si può trovare oltre alle case sparse, distanti l’una dall’altra, circondate da alberi secolari e prati ingialliti dal sole. Le tapparelle sono abbassate per tenere fuori la calura estiva ma soprattutto gli ospiti indesiderati. Perché questo paese è così, chiuso a chiunque non rientri nei suoi standard, lontano da qualunque novità che le televisioni, tenute a volume basso durante i pomeriggi torridi come questo, propongono senza mai arrivare davvero alle orecchie di chi qui ci è nato e cresciuto. Tra pozzi di petrolio e allevamenti di bestiame, tutto è rimasto fermo e statico come una bicicletta appoggiata a un muro a bruciare sotto il sole.”
Questo è un piccolo passaggio, un paragrafo del romanzo “la giara delle imperfezioni” e racconta di come Daisy si senta soffocare in un paesino che le sta diventando stretto, che non si adatta ai cambiamenti, che non evolve mai da quello stato di quiete dove tutto procede senza troppi scossoni. È un po’ la sensazione che provo io tornando a casa nel piccolo paesino dove sono nata e cresciuta. Non tanto per il fatto che mi senta soffocare, è una piacevole sensazione la mia, ma per il fatto che niente sia cambiato. Sono andata via di casa a diciotto anni, ne ho ormai quaranta e pochissimo si è trasformato da quel giorno.
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Photo by Cecilia Rodríguez Suárez on Unsplash
Ci sono gli stessi negozi, le stesse feste, le stesse fiere che c’erano all’epoca, fatte esattamente allo stesso modo e gestite quasi dalle stesse persone. Non è un male questo, è avere a cuore il posto in cui si è cresciuti, avere cura delle tradizioni che non si vogliono perdere, significa tenere unita una comunità con valori che tutti condividono. È una cosa bella, è una sensazione che ti fa sentire a casa, che ti riporta a una percezione familiare quando la vita ti presenta una quantità di sfide difficili da superare.
Quando rientri in quella comunità, però, ti rendi conto che qualcosa effettivamente è cambiato: il modo in cui ti trattano. Tu sei diventato “quello strano” quello che non fa più parte di un ambiente in cui tutti hanno qualcosa da condividere. Ascoltano le tue storie come qualcosa di cui meravigliarsi, ma poi tornano i “ti ricordi di quando…” perché è l’unica cosa che è rimasta in comune e di cui ci si ricorda con nostalgia. In quel momento ti rendi conto che sei tu quello che si deve adattare di nuovo a quelle regole, a quella comunità, a quel modo di vivere. Sei tu che vieni da fuori e portare la tua esperienza, il tuo modo di vivere, è visto un po’ con diffidenza. Ti senti ripetere frasi del tipo “sì, ok, ma qui non siamo a Londra/Stati Uniti/Canada, qui questa cosa non funziona, l’abbiamo sempre fatta così”. 
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Photo by Greg Jewett on Unsplash
Nei paesini le cose mutano molto lentamente, c’è molta più resistenza al cambiamento, all’evoluzione e spesso ci si ritrova a lottare per far accettare determinate idee. Questo capita perché molto spesso questi cambiamenti vengono imposti, come ad esempio una legge statale che obbliga  tutti a cambiare le proprie abitudini. È qualcosa di calato dall’alto, che per essere applicabile su larga scala non tiene conto delle particolari esigenze di un determinato territorio e viene visto come una mancanza di considerazione per chi lì ci vive. Spesso ci si sofferma sul fatto che “chi fa le leggi non ci vive in questo posto. 
Le fanno sempre per facilitare la vita agli altri”, nei piccoli paesini ci si sente esclusi da quelle che sono le grandi decisioni, per questo motivo si tende a fare comunità e “arrangiarsi”.
L’effetto che si ottiene è quello di resistere a tutti i tipi di cambiamento, sia quelli imposti che quelli naturali, che avvengono per una maturazione dei tempi. Per alcuni ci vogliono anni, per altri addirittura un cambio generazionale, ed è questo che Scott impara: bisogna aiutare le menti giovani a portare il cambiamento. Nei piccoli paesini si tende a stare uno accanto all’altro, ad aiutarsi a vicenda anche contro ciò che viene percepito come una minaccia che viene dall’esterno. Non è necessariamente negativo, perché spesso si superano momenti difficili che altrimenti porterebbero a conseguenze più catastrofiche; bisogna essere consapevoli, però, che per vivere serenamente in quella comunità bisogna essere disposti a percepirne le sfumature e imparare a convivere con esse. Per poter cambiare le cose è fondamentale prima guadagnarsi la fiducia delle persone e, solo dopo, provare a spiegare un punto di vista molto diverso dal loro.

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    Autore

    Scrittrice e aspirante sceneggiatrice, appassionata di serie televisive e musica dal vivo. Vive a Seattle e non perde occasione di uscire per scoprire nuovi talenti tra gli artisti di strada. Quando piove è una lettrice compulsiva e scrittrice seriale di fanfiction.

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